Simone Veil, al cinema la vita della donna del secolo
Dopo Auschwitz magistrato, ministra e presidente Europarlamento
(di Laura Valentini) Magistrato che lotta contro le ingiustizie di un sistema detentivo che umilia e degrada i detenuti, ancor più se politici, ministra della Sanità che si batte per far approvare una legge che legalizzi l'aborto, prima donna presidente del Parlamento europeo. Questo e altro è stato Simone Veil, nata a Nizza Simone Annie Liline Jacob da famiglia ebrea e sopravvissuta ad Auschwitz, dove fu internata dai nazisti appena sedicenne con la madre e la sorella Milou. A ricostruirne la storia arriva sul grande schermo il film 'Simone Veil - La Donna del Secolo', diretto da Olivier Dahan, e che ha per protagoniste Elsa Zylberstein (interpreta Simone in età matura) e Rebecca Marder che dà il volto alla ragazza sedicenne che arriva nel campo di concentramento e poi alla giovane donna che si sposa, ha tre figli e sceglie di lavorare. Dal 30 gennaio al cinema con Wanted in anteprima il 27 gennaio per celebrare il Giorno della memoria, il film mescola i piani temporali e inizia con le scene di un'infanzia felice, quella vissuta da Simone e i suoi fratelli tra Nizza e la bella casa sul mare di Le Ciotat in una famiglia che lei ricorda come laica con il padre fiero di essere cittadino francese. Poi ecco Simone poco meno che ventenne, reduce dall'esperienza di Auschwitz: si iscrive alla facoltà parigina di scienze politiche dove incontra il suo futuro marito Antoine Veil. E ancora, tra il 1974 e il 1979 ricopre l'incarico di ministra della Sanità : "Sono l'ultima rotellina del carro" ammette con il marito ma questo non le impedisce di difendere in Parlamento il disegno di legge per la legalizzazione dell'interruzione di gravidanza: diviene oggetto di insulti che chiamano in causa anche i nazisti, accusandola di voler causare più morti di quanti ne hanno provocati le guerre e gli stermini di Hitler. Ma l'ingiustizia è qualcosa che Simone non puo' sopportare: sia essa quella delle donne che muoiono per interventi clandestini andati male, sia quella di detenuti che contraggono la tubercolosi per le condizioni insalubri e l'affollamento delle carceri, sia quella di chi si ammala di Aids e viene trattato come un appestato. L'esperienza di Simone nei campi di concentramento si conclude con quella che lei stessa definisce 'la marcia della morte' ovvero la fuga delle SS dagli eserciti alleati che da Auschwitz si dirige verso altri campi di concentramento: lei resiste e resiste, alla fame, al freddo, alla fatica. La resilienza è una delle caratteristiche di questa donna che verrà a sapere solo molto tardi che suo padre e suo fratello, catturati dai nazisti e che la sua famiglia aveva sempre pensato fossero morti ad Auschwitz separati da loro da pochi padiglioni furono invece molto probabilmente fucilati in Lituania. Infine il lutto che non si aspettava, della sorella sopravvissuta con lei e morta in un incidente stradale. Tutto il dolore deve pero' fare spazio alla sua volontà di testimoniare perché, dice dopo la guerra, 'la Francia non vuole ricordare, vuole dimenticare e andare avanti". Invece la memoria è necessaria e in questo anche un film ha un ruolo importante. "Credo nel potere del cinema - dice Elsa Zylberstein - che è forse più accessibile della letteratura o di una conferenza. Un film può mostrare la violenza subita da persone come Simone Veil, affinché queste atrocità non si ripetano mai più, per la laicità, per la pace. Sono convinta che fosse mio dovere di attrice contribuire a far conoscere la storia di Simone Veil. Per me, fare un film come questo è un atto politico".
(T.Martin--TAG)